Cultura nelle Fiji

Gli abitanti delle Fiji si dedicano ancora oggi a molte attività artistiche e artigianali tradizionali. La danza, per esempio, è ancora un’arte praticata di frequente e gli spettacoli di “meke” si basano su una tradizione orale molto sentita. Queste danze sono state tramandate di generazione in generazione e si dice che nelle loro espressioni più tradizionali gli spiriti dell’oltretomba prendano possesso dei corpi dei ballerini. I meke accompagnano gli eventi più importanti nella vita dell’uomo, come la nascita, la morte, la chiamata alla guerra, il matrimonio e gli scambi di proprietà.

Le isole Fiji sono celebri anche per le loro ceramiche sin da quando i Lapita iniziarono a commerciare i loro prodotti in tutto il Pacifico meridionale, migliaia di anni fa. I più famosi tra i ceramisti contemporanei sono Dian Tugea e Taraivini Wati, le cui opere si possono ammirare nel Fiji Museum.

Anche la scultura lignea riveste una notevole importanza nel panorama artistico dell’arcipelago, soprattutto per la grande richiesta di souvenir da parte dei turisti: si realizzano mazze da guerra, lance e forconi da cannibali, ma vi sono anche sculture con intarsi in conchiglia e osso. I tessuti di corteccia, noti a Fiji con il nome di “masi”, erano prodotti in tutta l’area del Pacifico e si chiamavano tapa. Un tempo gli abiti da cerimonia, le cinture, gli strascichi e i turbanti erano tutti eseguiti con questo tessuto che veniva decorato con motivi simbolici in ocra e nero carbone. Questo tipo di stoffa, la cui lavorazione è molto laboriosa, si realizza con la corteccia del gelso. Secondo la tradizione gli abiti masi, ampi e riccamente decorati, fungevano in realtà da doni cerimoniali e il loro possesso era segno di grande prestigio.

La tessitura delle foglie del pandano in stuoie e cestini vanta anch’essa una lunga tradizione: quasi tutte le fanciulle dei villaggi imparano ancora questa tecnica, ricca di varianti nello stile e nei colori (secondo uno dei metodi di lavorazione, per esempio, si raschiano le foglie per poi seppellirle nel fango e bollirle con altre piante). I bordi delle stuoie di pandano erano in genere decorati con delle piume di pappagallo, mentre oggigiorno si preferisce usare la lana e i filati in tonalità sfavillanti.

Altra curiosità legata alla cultura di queste genti è la musica: ogni volta che vi congederete da un’isola, potreste ascoltare una famosa canzone, una specie di addio che suona più come un arrivederci.È l’ISA LEI, un rito di rispetto verso l’ospite ( purtroppo molto spesso mal interpretato ) che viene celebrato con la massima serietà e solennità: donne e uomini Fijani si dispongono su più file e vestite con gli abiti a festa e con i fiori tra i capelli scandiscono i nomi dei turisti che vanno via, poi intonano, senza strumenti musicali e con molto orgoglio, la tipica canzone.

Qui di seguito il testo in lingua originale:

Isa , Isa, vulagi lasa dina
Nomu luko – au na rarawa kina
Cava beka – ko a mai cakava
Nomu lako – au na sega ni lasa
Isa lei, Isa lei, na noqu rarawa
Ni ko sana – vodo e na mataka
bau nanuma, na nodatou lasa
Mai Fiji Islands – nanua tiko ga.

MITI MISTERI E LEGGENDE DELLE ISOLE FIJI

L’UCCELLO DI MATAMANOA
Il mito riguarda una particolare specie di Procellaria notturna chiamata anche “uccello delle tempeste” o “uccello di S.Pietro”; un uccello che magicamente sembra quasi camminare sull’acqua!
Matamanoa e la vicina isola disabitata di Modriki sono le uniche due isole dove si ritrova il volatile in dicembre e dove alleva i piccoli, addestrandoli al volo fino a che non migrano a metà Maggio.

Il mito di questo uccello nasce dal fatto che nessuno sa dove migri dopo aver lasciato le due isole. Sembra siano uccelli fieri e regali, estremamente timidi soprattutto quando si avvicinano gli esseri umani. Gli adulti si cibano di alghe e plancton durante la bassa marea, generalmente di sera, mentre i più giovani mangiano insetti e larve.

Durante le tempeste si riparano o nelle fessure della roccia o intorno al complesso del Resort a Matamanoa, permettendo avvisando gli uomini del maltempo che si avvicina. Gli uccelli sono caratterizzati da un piumaggio nero con la parte sottostante più chiara. Rimane un mistero anche la ragione per cui abbiano scelto come dimora soltanto le isole di Modriki e di Matamanoa. Gli abitanti dell’ isola di Matamanoa sono così fieri e onorati di ospitare queste fantastiche creature da farne addirittura il proprio logo!

DAKUWAQA IL DIO SQUALO
Una delle più famose leggende Fijane è legata al mostro marino di Dakuwaqa, che era il guardiano dell’entrata dei reef delle isole (i pass), visto come un essere impavido, testardo ed invidioso. Spesso mutava d’aspetto, assumendo una forma di squalo con la quale viaggiava intorno alle isole. Secondo la leggenda, un giorno si recò nell’arcipelago delle Lomaiviti e dopo aver combattuto con successo proseguì verso Suva. Qui incontrò un guardiano del reef che, sfidato Dakuwaqa, ingaggiò una lotta talmente cruenta da creare delle gigantesche onde che si riversarono sulla terra ferma, prima nell’imboccatura del fiume Rewa, poi nelle valli, sommergendole per parecchie miglia.

Dakuwaqa più volte vittorioso, continuò con le sue battaglie marine. Vicino all’isola di Beqa un suo amico anziano, Masilaca, un altro Dio-squalo, gli parlò del grande valore degli Dei che custodivano l’isola di Kadavu ed astutamente chiese a Dakuwaqa se avesse paura di loro. Di scatto Dakuwaqa partì nervosamente alla volta dell’isola di Kadavu e avvicinandosi al reef scoprì che il pass era custodito da un’enorme piovra.

Dakuwaqa si diresse furiosamente nel passaggio rischiando la morte in quanto i tentacoli della piovra si avvilupparono intorno al suo corpo stritolandolo. Realizzando di essere vicino alla morte, elemosinò misericordia e pietà chiedendo alla piovra di avere risparmiata la vita in cambio della promessa di non nuocere mai ne all’isola di Kadavu, ne in nessuna altra parte nel mare delle Fiji. Così la piovra liberò Dakuwaqa che mantenne la sua promessa. Da quel giorno la gente di Kadavu non ebbe più timore degli squali durante le battute di pesca o durante il nuoto. Ancora oggi, quando i pescatori locali escono di notte per pescare versano con riverenza una ciotola di Kava (una bevanda che funge da narcotico) nel mare per Dakuwaqa.

LA LEGGENDA DI DEGEI, IL DIO SERPENTE
Il più potente degli Dei Fijiani era Degei, il Dio-serpente. All’ inizio viveva in modo solitario, e l’unica creatura vivente che conosceva era Turukawa: il falcone, che era l’unico compagno del dio, nonostante non potesse parlare. Un giorno Degei non trovò il suo amico e lo cercò dappertutto. I giorni passarono finché una mattina vide il falco che sedeva sopra un folto cespuglio d’erba. Felice, accolse calorosamente l’uccello, ma quest’ultimo ignorando completamente Degei, cominciò a costruirsi un nido. Deluso, Degei tornò a casa. Il giorno seguente andò di nuovo al nido e trovò due uova.

Allora capì che il falco aveva trovato un compagno e che quindi aveva purtroppo perso il suo affetto. Così prese le sue uova e le portò a casa e le mantenne calde con il suo corpo. Dopo molte settimane di cova i gusci si aprirono e uscirono due corpi umani molto piccoli (un bimbo ed una bimba). Degei gli costruì un riparo in un albero e diede loro del cibo. Se ne occupò anche se il Dio serpente non capiva molto di bambini: gli dava solo da mangiare quando avevano fame e gli parlava di tanto in tanto dei segreti della natura. Per alimentarli con più comodità piantò addirittura degli alberi di banano e delle radici intorno a loro.

Finalmente i bambini divennero adulti ma poiché Degei l’aveva cresciuti ai due lati opposti dell’albero, tra loro non si conoscevano, ed ognuno ignorava la presenza dell’altro! Un giorno l’uomo lasciò il suo riparo ed incontrò finalmente la donna. Subito la strinse tra le sue braccia spiegandogli che Degei l’aveva procreati per stare insieme, amarsi e popolare la terra con i figli che sarebbero venuti; mostrò loro anche come cucinare le verdure e le radici nel tipico forno sotterraneo (lovo).

Dopo un po’ di tempo la loro unione fu benedetta dalla nascita di un piccolo e Degei fu felicissimo perchè grazie alla sua solitudine gli uomini avevano fatto il loro ingresso sulla terra e per gratitudine di questi ultimi l’avrebbero adorato come un Dio per sempre. Secondo la leggenda, questo poderoso nume creò anche Viti Levu e tutte le altre piccole isole.

IL FIORE DI TAGIMAUCIA
Nelle alte montagne di Taveuni, conosciuta come l’isola-giardino delle Fiji, vi si trova uno stupendo lago. Qui si può ammirare una pianta fiorita chiamata Tagimaucia, che vive esclusivamente lungo le sue sponde ed ogni tentativo di trapiantarla altrove è sempre fallito.

La Tagimaucia è una delle piante selvatiche più belle delle Fiji, formata da mazzi di fiori rossi con un piccolo centro bianco.
Una leggenda racconta come è nato questo fiore In cima ad una collina vivevano una donna e la sua figlioletta. Un giorno la ragazzina stava giocando sebbene dovesse lavorare. La madre la richiamò più volte ai suoi doveri ma la figlia ignorandola continuò a giocare. Infastidita, afferrò una fascina di sasas ( le nervature centrali della foglia del cocco) e sculacciò la bimba rimproverandola.

La ragazzina singhiozzante e completamente sconvolta si allontanò; talmente turbata dall’accaduto vagava senza rendersi conto di dove andava; inciampò in una grande pianta rampicante che pendeva da un albero. Era un viticcio verde e spesso con grandi foglie verdi, ma senza fiori. La bimba rimase impigliata al rampicante e poiché non riusciva a liberarsi pianse con disperazione. Mentre le lacrime scendevano dalle sue guance si trasformarono da gocce salate in gocce di sangue che caddero lungo il gambo della pianta. Come per incanto le gocce di sangue divennero dei bellissimi fiori rossi.

UNA VECCHIA LEGGENDA DELLE FIJI
Un’altra leggenda, “NANANU-I-RA” narra una antica storia: Adi viveva nel villaggio di Nanukuloa (il villaggio dalle sabbie nere) sull’isola di Viti Levu (la regina delle sabbie). Qui si innamorò di un giovane affascinate capo della tribù di Bua, isola famosa per le foreste di legno di sandalo, un albero dal quale si ricavava un legname molto profumato usato dalla gente marinara per costruire le canoe.

L’amante di Adi, essendo un marinaio esperto, navigò con la sua veloce canoa sino a Viti Levu per incontrarla portandole molti regali fatti intagliando questo legno di sandalo. Purtroppo però la tribù di Bua e la tribù di Viti Levu erano nemiche e quindi il rapporto del giovane capo era visto piuttosto male da suo padre e dal capo di Nanukuloa dove viveva Adi. Coraggiosamente i due amanti continuarono ad incontrarsi segretamente, su un’isola che fu chiamata Nananu-i-Ra che significa ” il paese dei sogni dell’Ovest “.

I GAMBERETTI ROSSI DI VATULELE
Tanto tempo fa sull’ isola di Vatulele viveva una fanciulla molto bella, figlia di un capo-tribù chiamata “Yalewa-ni-Cagi-Bula ” (“la ragazza del vento favorevole”). Era così bella che ogni capo che visitava Vatulele cercava di prenderla in sposa. Era tuttavia anche molto dura e crudele e ogni volta rifiutava sdegnata la corte dei suoi pretendenti. Non lontano, nella grande isola di Viti Levu viveva un attraente giovane, erede al trono del vasto territorio del padre.

Anche lui aveva sentito parlare della bellezza della figlia del capo di Vatulele ed aveva deciso che doveva essere a tutti i costi sua moglie. Un giorno decise di presentarsi alla corte di Vatutele e partì carico di regali per i capi ed uno speciale per Yalewa-ni-Cagi-Bula. Il regalo consisteva nella squisitezza più grande conosciuta nelle isole Fiji, un piatto di gamberetti giganti, pescati lungo le coste di Viti Levu, cucinati con una salsa al latte di noce di cocco. Una tale squisitezza avrebbe dovuto sciogliere il cuore della fanciulla… ma non fu così in questa occasione! La donna andò su tutte le furie che comandò alle sue donne di gettare in mare il pretendente dalla più alta scogliera dell’isola presso le “caverne delle aquile” (conosciute nelle Fiji come Ganilau).

Mentre precipitava dalla scogliera caddero dalla mano del giovane i gamberetti rossi e finirono in una pozza rocciosa alla base della scogliera. Per fortuna il ragazzo si salvò e tornò triste al suo villaggio struggendosi sino alla fine dei suoi giorni per l’amore perso. Ogni giorno della sua vita andò in riva al mare per osservare verso Sud il puntino scuro all’orizzonte dove c’era l’isola di Vatulele.

La leggenda narra che tentò addirittura di costruire un ponticello di pietra per unire il tratto di mare fra Vatulele e Viti Levu e le rovine di questo ponte si possono ancora vedere affiorare dal mare vicino al villaggio di Votualailai. La conclusione della storia è interessante in quanto spiega il perchè lungo le scogliere e le fessure della roccia intorno a Vatulele vivono moltissimi gamberetti di un acceso colore scarlatto. I Fijiani di Vatulele chiamano questi gamberetti rosso-scarlatto “URA-BUTA” (tradotto: “i gamberetti cucinati”) e sono talmente sacri da non poter essere ne catturati, ne mangiati. Si crede che chi oserà sfidare questo tabù finirà naufragato in mare!

I PESCI ADDOMESTICATI
Sull’ isola di Nananu-io-Ra, a nord-est di Viti Levu, si può ammirare uno degli spettacoli più strani del Pacifico. Qui Paul Mugnaio che vive sull’isola possiede una scuola dove si addomesticano i merluzzi!. Questi pesci sono amichevoli e vengono quotidianamente vicino la costa per essere alimentati da Paul.

Ben Cropp, uno dei migliori cine-operatori subacquei australiani si è interessato alla cosa, riuscendo ad ottenere la fiducia dei pesci e la possibilità di nuotare insieme a loro. I pesci, pesanti fino a 16 Kg, infatti presero il cibo dalle sue mani e riuscì addirittura a coccolarli. Ben e sua moglie filmarono stupefacenti sequenze con questi pesci e chiesero di dichiarare le acque intorno all’ isola un santuario protetto dei pesci.

LE TARTARUGHE SACRE DI KADAVU
Sull’ isola di Kadavu, una delle più grandi isole di un arcipelago delle Fiji a circa cinquanta miglia di mare dalla città-capitale di Suva, c’è un villaggio chiamato Namuana. Namuana si trova protetto in una meravigliosa baia adiacente alla stazione governativa del porto di Vunisea. Dietro il villaggio c’è una collina dalla quale si può dominare un vasto tratto di mare sia a Sud che a Nord, mentre la spiaggia era un tempo per i guerrieri di Kadavu un punto di partenza per le loro canoe per esplorare le terre poste ad Est ed ad Ovest dell’isola.

Se visitate il villaggio di Namuana e volete vedere le tartarughe che vengono chiamate dalle done del posto, dovete ancorare la vostra barca a destra della baia sotto le scogliere di un promontorio roccioso; oppure potete sbarcare sulla spiaggia e sedervi vicino le rocce a picco oppure ancora arrampicarvi sopra un tratto roccioso in un punto a circa 50-60 metri dal mare. Da questa visuale avrete davanti un paesaggio splendido e potrete vedere le fanciulle del villaggio di Namuana che intonano un canto sconosciuto. Durante il canto, se osservate con attenzione nell’ acqua della baia, potrete scorgere tartarughe giganti che sembrano venire in superficie per ascoltare la musica; sono tartarughe di cui è proibita la pesca. Un altro mistero sconcertante relativo a questa leggenda è che se si dovesse avvicinare un qualunque membro del vicino villaggio di Nabukelevu, le tartarughe non saliranno in superficie Come tutte le cerimonie e le abitudini delle Fiji, anche chiamare le tartarughe è un rito antico che si tramanda verbalmente da padre in figlio.

TINAICOBOGA, LA PRINCIPESSA DI NAMAUNA
Molti anni fa nel villaggio di Namuana sull’ isola di Kadavu, viveva una principessa meravigliosa, moglie del capo-villaggio chiamata Tinaicoboga. Tinaicoboga ebbe una figlia bellissima, Raudalice con la quale andava spesso pescare sul reef intorno al suo villaggio. Un giorno, Tinaicobaga e Raudalice si spinsero molto più lontano del solito sorpassando il reef e dirigendosi verso est. Erano così assorte dalla pesca che non si accorsero di alcune canoe che furtivamente si avvicinavano provenienti dal vicino villaggio di Nabukelevu. I pescatori saltarono improvvisamente dalle loro canoe afferrando le due donne e legando loro le mani e i piedi, per portarle al villaggio come vittime sacrificali. Le donne tentarono di supplicare per le loro vite i crudeli guerrieri di Nabukelevu ma invano.

Allora gli dei del mare, misericordiosi, scatenarono una tempesta dalle onde talmente enormi da sommergere le canoe. Mentre le canoe affondavano i guerrieri sbalorditi videro le due donne trasformarsi in tartarughe marine. Capirono così che l’unico modo per sopravvivere era liberarle, quindi presero le testuggini e le gettarono in mare. Immediatamente il mare si calmò e i guerrieri tornarono al villaggio, mentre le testuggini continuarono a vivere nella baia di Namuana.

Ancora oggi i discendenti delle due tartarughe vengono a riva quando le fanciulle del villaggio intonano un’ antica canzone. Chiaramanete si può dubitare della verità della leggenda, ma non del fatto che il canto di queste fanciulle abbia effetti sulle tartarughe giganti che dal mare aperto vengono attirate verso la baia del villaggio di Namuana nell’isola di Kadavu. Il mistero sta proprio nella potenza sconosciuta di chiamare queste tartarughe, posseduta soltanto dalla gente del villaggio di Namuana e dal fatto che se è presente anche un solo abitante del villaggio (un tempo nemico) di Nabukelevu.

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