Cultura Neo Zelandese

TERRA DEI MAORI
La Nuova Zelanda è soprattutto il cuore della cultura Maori, fieri discendenti dei polinesiani. La cultura Maori è la più antica della Nuova Zelanda. E’ soprattutto una cultura orale che fu raccolta alla fine del XIX secolo dagli intellettuali europei. Gli scrittori indigeni più conosciuti sono Keri Hulme e Jacqueline Sturm.

Uno dei tanti miti locali narra che un giorno i cinque fratelli Maui, di nobile stirpe polinesiana, partirono per una spedizione di pesca in alto mare e il più giovane, per magia prese all’amo un grande pesce di terra che giaceva in fondo al mare: era Aotearoa, Terra della lunga nuvola bianca, in lingua maori da cui il Paese prese poi il nome.

Nella cultura europea, i Maori sono conosciuti per la loro famosa Haka, l’antica danza di guerra che gli All Blacks, la temutissima squadra neozelandese di rugby, hanno adottato come vivace rituale propiziatorio per terrorizzare gli avversari prima di iniziare ogni partita, ma, oltre ad essere grandi giocatori di rugby, sono soprattutto fieri discendenti dei polinesiani, bellicosi e vanitosi, vendicativi e generosi, forti e ospitali, grandi e robusti nella memoria come nel fisico, ancora oggi tatuato con elaborati motivi tribali. Sono inoltre raffinati scultori che hanno trasformato in veri e propri capolavori pregiati, legni tropicali, giada, pietra, nefrite, osso , conchiglie e hanno costruito, da grandi navigatori quali erano nel passato, canoe da guerra finemente scolpite con immagini di antenati mitici e divinità marine. Nonostante il genocidio e la spoliazione delle loro terre a opera dei Pakeha, gli avidi colonizzatori bianchi, sono riusciti a conservare la propria identità culturale e religiosa, e dopo lunghe battaglie legali la loro lingua viene oggi insegnata nelle scuole e nelle università neozelandesi.

Grazie a tutte queste attività e alle loro abilità, gli indigeni hanno portato ad un riscatto culturale che, nonostante le inevitabili tensioni razziali in seno alla società neozelandese, rappresenta un primo e importante passo verso l’autodeterminazione.

IL SALUTO MAORI
ALOHA è la parola più conosciuta di queste terre; non è solo un semplice saluto, è una sigla che raggruppa le caratteristiche dello stile di vita più gradevole e tipico degli abitanti della Nuova Zelanda:

A – akahai: cortesia che deve essere espressa con un sentimento di tenerezza;
L – lokahi: unità che deve essere espressa con un sentimento di armonia;
O – olu’olù: gradevolezza che deve essere espressa con sentimento di affabilità;
H – ha’aha’a: umiltà che deve essere espressa con sentimento di modesta;
A – ahonui: pazienza che deve essere espressa con sentimento di perseveranza.

I RIMEDI CURATIVI DEI MAORI
Tra le potenzialità dei Maori si annovera quella di poter attingere alle caratteristiche e proprietà terapeutiche di moltissime piante, in un clima di affascinante superstizione: ogni malattia, infatti, aveva due cause: una dovuta ad un’azione compiuta nel passato che spesso era da imputare alla violazione del tapu (tabù) o di qualche legge tribale; l’altra era l’effetto di un incantesimo ai danni del malato.

Quest’ultima altro non era che l’esistenza, nella parte inferma, di spiriti maligni ognuno dei quali aveva il controllo di una zona del corpo. Era così che Titi provocava malattie respiratorie, Rongomai e Taparitapua causavano la tisi e la lebbra, Titihai infliggeva dolori agli arti inferiori e Tu-Tangata-Kini scatenava violente coliche. A seconda della colpa commessa essi infierivano impietosamente sul malato.

I sacerdoti, quindi, disponevano di due rimedi: uno spirituale, o Karakia, le preghiere, e l’altro materiale, con la somministrazione di erbe medicinali. Molto usato era un decotto di foglie di Hokehoke (hartighsia spectabilis) dal sapore forte e amaro, apprezzato per le sue proprietà curative e tonificanti. Sempre con le stesse foglie si otteneva un infuso che arrestava la secrezione del latte nelle donne che avevano perduto i neonati. Decotti di Pua, Ruruhau, Nani e di Toru erano usati per malanni di lieve entità (febbre, raffreddore). Per liberarsi del mal di denti i maori masticavano la radice di Kawakawa (piper Excelsum). Su ferite da trauma (distorsioni, slogamenti, fratture) venivano applicati impacchi di foglie di Harakeke (formium tenax) e radici di Rengareuga riscaldate al fuoco.

Fra le tante varietà di formio venivano raccolti i fiori di quello di colore rossiccio per ricavarne una sostanza dolce molto simile al miele, prediletta dai bambini ma usata anche come ottimo ricostituente. Infine, le numerosissime sorgenti minerali, sulfuree e i fanghi termali erano un antidoto ai malanni di tipo reumatico, paralisi, sciatiche, gotta e malattie della pelle.

HAKA: LA DANZA CHE INFONDE CORAGGIO
A ka mate, ka mate
Ka ora, ka ora
Ka mate, ka mate
Ka ora, ka ora
Tenei te tahgata puhuruhuru
Nana i tiki mai whakawhiti te re
A hupane, a kaupane
Whiti te rea, hi !

E’ la morte, è la morte
E’ la vita, è la vita
Questo è l’uomo con molti capelli sopra di me
Che mi ha permesso di vivere
Io salgo verso l’alto un passo dopo l’altro
Verso il sole che splende

Nell’antica cultura Maori la guerra era una vera e propria scienza militare che i giovani imparavano sin da piccoli, anche perché la debolezza era considerata un delitto mentre il coraggio, la forza e l’abilità erano valori che attribuivano carisma e prestigio personale. In guerra, ogni spedizione veniva preparata eccitando gli animi con discorsi guerreschi e cerimonie religiose, stimolando la passione e la vendetta attraverso preghiere e canti di battaglia con i quali i guerrieri si consacravano a Tu, dio della guerra, ma soprattutto inscenando “l’haka” la cui funzione era quella di infondere nei guerrieri il coraggio necessario per affrontare il nemico, terrorizzandolo ancor prima dello scontro con una mimica minacciosa e inquietante.

La leggenda racconta che due secoli fa Te Rauparaha, un capo tribù inseguito dai nemici, chiese all’amico Te Whareangi di proteggerlo. Costui lo nascose in una capanna a guardia della quale mise la sua stessa moglie Te Rangikoaera poiché i Maori credevano che i genitali femminili avessero una funzione protettiva. All’arrivo dei nemici, il fuggitivo sussurrò Ka mate (muoio), ma quando gli avversari si allontanarono, sviati da Te Whareangi, ripeté sollevato la parola Ka ora (vivo) e onorò l’amico, ovvero “l’uomo dai lunghi capelli” che lo aveva protetto e gli aveva dato la possibilità di vedere nuovamente “il sole che splende”, inscenando pubblicamente una danza di ringraziamento in onore del suo salvatore. E’ così che nacque l’haka.

I Maori, che una volta erano guerrieri, ancora oggi sentono di esserlo soprattutto quando scendono in campo vestendo la celebre maglia nera degli All Blacks, la loro forte squadra di rugby.

Nel 2000 infatti l’Adidas ha vinto l’oscar della pubblicità proprio grazie a un esplosivo spot di trenta secondi che miscelava haka, All Blacks e volti di Maori tatuati. E, ancora adesso, i giocatori, prima di ogni inizio partita si schierano tutti a centrocampo per eseguire il suggestivo rito collettivo dell’haka.

Quando i giocatori alzano al cielo la loro preghiera, urlando e battendo i piedi, è impossibile non riconoscere in quell’antico rito nato come cerimonia di ringraziamento, un significato che va aldilà del semplice gesto sportivo. In esso, infatti, c’è il riscatto culturale di un popolo fiero, il rimarcare un’identità mai tramontata che in una società come quella neozelandese non trova sempre la via dell’integrazione.

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